Aldo Gastaldi
Aldo Gastaldi nasce a Granarolo (Genova) il 17 settembre 1921 da Paolo Gastaldi e Maria Lunetti. Dai genitori impara la fede cristiana e quel senso di severa responsabilità che lo accompagnerà sempre. Conseguito il diploma di perito elettrotecnico nel 1939, inizia a lavorare alla Società San Giorgio di Sestri Ponente e si iscrive nel frattempo alla facoltà di Economia e Commercio, quando nel 1941 riceve la chiamata alle armi. Le lettere inviate alla famiglia durante il periodo di addestramento a Casale e Pavia svelano un giovane tanto severo con se stesso quanto capace di delicatezza e affetto verso gli altri.
Il 15 agosto 1942 entra in servizio come sottotenente nel 15° Reggimento Genio presso la caserma di Chiavari, dove si distingue per il rapporto fuori dal comune che riesce a stabilire con i suoi soldati.
L’8 settembre 1943 Aldo è di pattuglia in città quando arriva la notizia dell’armistizio; non appena viene a sapere che i tedeschi hanno occupato la caserma fa nascondere le armi agli uomini che ha con sé, poi li lascia liberi di andarsene. Nelle settimane successive viene contattato da Giovanni Serbandini “Bini”, comunista, che rimane colpito dalla ferma decisione maturata dal giovane ufficiale: “Era l’antitesi dell’attendismo”, dirà. Con un ristretto gruppo di uomini si stabiliscono a Cichero, alle pendici del monte Ramaceto. Aldo viene eletto comandante e prende il nome di “Bisagno”, dal torrente che taglia in due Genova.
I mesi che seguono servono a impostare la vita partigiana secondo delle precise regole militari e morali, dando vita a quella che diverrà poi celebre come la “scuola di Cichero”. I giovani si rifugiano in montagna e trovano nel loro comandante un esempio da imitare; Bisagno infatti interpreta il comando non come potere, ma come servizio; è il primo ad esporsi ai pericoli e l’ultimo a mangiare, riserva a se stesso i turni di guardia più pesanti.
Si conquista così l’amore e la stima degli uomini e delle popolazioni contadine, senza il cui sostegno la lotta partigiana sarebbe stata impossibile.
Temuto e rispettato anche dai nemici, riesce a far disertare un intero battaglione della Divisione “Monterosa”, il “Vestone”, che passerà poi tra le file partigiane da lui comandate.
Cattolico, apartitico, con un carisma straordinario, Bisagno si oppone con decisione ai continui tentativi di politicizzazione delle formazioni partigiane messi in atto dal partito comunista. “Noi non abbiamo un partito, noi non lottiamo per avere un domani un ‘careghin’, vogliamo bene alle nostre case, vogliamo bene al nostro suolo e non vogliamo che questo sia calpestato dallo straniero.”
Con l’avvicinarsi della fine della guerra Bisagno, amatissimo dalla gente e irriducibile ai compromessi della politica, diventa un ostacolo ai piani dei partiti membri del CLN.
Nella riunione di Fascia (Marzo 1945) il Comando Militare Unico della Liguria chiede a Bisagno di farsi da parte e questo provoca la reazione dei partigiani che irrompono sul luogo della riunione con le armi spianate contro i rappresentanti del Comando. Solo l’intervento di Bisagno stesso, che richiama alla calma gli uomini, evita una carneficina. Il Comando si deve accontentare di ridurre l’influenza di Bisagno dividendo in due la Divisione Cichero.
Nei giorni successivi alla liberazione Bisagno si scaglia più volte contro i regolamenti di conti che insanguinano le strade di Genova. Per garantire l’incolumità di alcuni suoi partigiani, ex alpini originari del Veneto e della Lombardia, li accompagna personalmente a casa. Muore il 21 maggio 1945 a Desenzano del Garda, dopo aver riconsegnato alle famiglie tutti i suoi uomini. La relazione ufficiale, redatta dal commissario politico della Divisione, parla di una caduta accidentale dal tetto del camion utilizzato per il viaggio; in realtà la dinamica dell’incidente non è mai stata chiarita in modo convincente e molti hanno subito sollevato dubbi sul reale andamento dei fatti.
Al funerale a Genova partecipa una folla impressionante.
A “Bisagno” è stato attribuito il titolo di “Primo Partigiano d’Italia”.